Ricorso della regione Lombardia, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta regionale, on. dr. Roberto Formigoni, rappresentata e difesa, come da delega a margine del presente atto ed in virtu' di deliberazione di giunta regionale n. VI/4l935 del 12 marzo l999 di autorizzazione a stare in giudizio, dagli avv.ti proff. Giuseppe Franco Ferrari e Massimo Luciani, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, Lungotevere delle Navi n. 30; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 5 febbraio 1999, n. 25, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 35 del 12 febbraio 1999, recante "Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee - legge comunitaria 1998", con particolare riguardo all'art. 4, nella parte in cui demanda a regolamenti ministeriali, da emanare ai sensi dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, ovvero ad atti amministrativi, l'attuazione delle direttive elencate nell'allegato D, concedendo alle Regioni e province autonome di Trento e Bolzano la facolta' di inviare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria, eventuali proposte in merito al contenuto dei provvedimenti da emanare. F a t t o La legge 5 febbraio 1999, n. 25 ("Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle comunita' europee - legge comunitaria 1998"), e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, n. 35 del 12 febbraio 1999. Essa contiene, in particolare all'art. 4, disposizioni gravemente lesive delle prerogative costituzionalmente garantite alle Regioni. Le previsioni ivi contenute sono costituzionalmente illegittime per i seguenti motivi di D i r i t t o Violazione degli artt. 3, 5, 11, 117 e 118 Cost.; 1. - L'art. 4 della legge comunitaria 1998, al comma 1, stabilisce che "l'allegato D elenca le direttive attuate o da attuare mediante regolamento ministeriale da emanare ai sensi dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, o atto amministrativo, nel rispetto del termine indicato nelle direttive stesse. Resta fermo il disposto degli artt. 11 e 20 della legge 16 aprile 1987, n. 183". In tale elenco compaiono numerose direttive disciplinanti materie di stretta competenza regionale o perche' afferenti al settore dell'agricoltura, o perche' concernenti l'igiene alimentare (e quindi la salute) umana e animale, o perche' attinenti (anche) alla pesca nelle acque interne: Dir. 92/1994/CEE, in materia di individuazione delle zone agricole svantaggiate; Dir. 93/23/CEE, riguardante le indagini statistiche da effettuare nel settore della produzione di suini; Dir. 93/24/CEE, riguardante le indagini statistiche da effettuare nel settore della produzione di bovini; Dir. 93/25/CEE, riguardante le indagini statistiche da effettuare nel settore della produzione di ovini e caprini; Dir. 97/40/CE, in materia di utilizzazione e commercializzazione degli enzimi, dei microorganismi e di loro preparati nell'alimentazione degli animali; Dir. 97/41/CE, in materia di fissazione di quantita' massime di residui rispettivamente sugli e negli ortofrutticoli, sui e nei cereali, sui e nei prodotti alimentari di origine animale e su e in alcuni prodotti di origine vegetale, compresi gli ortofrutticoli; Dir. 97/60/CE, in materia di solventi da estrazione impiegati nella preparazione dei prodotti alimentari e dei loro ingredienti; Dir. 97/61/CE, relativa alle norme sanitarie applicabili alla produzione e commercializzazione dei molluschi bivalvi vivi; Dir. 97/1971/CE, in materia di fissazione delle quantita' massime di residui di antiparassitari rispettivamente sui e nei cereali, sui e nei prodotti alimentari di origine animale e su e in alcuni prodotti di origine vegetale, compresi gli ortofrutticoli; Dir. 97/1977/CE, che modifica le direttive 93/23/CEE, 93/24/CEE e 93/25/CEE; Dir. 98/3/CE, che adegua al progresso tecnico la direttiva 76/116/CEE in materia di concimi; Dir. 98/28/CE, in materia di igiene dei prodotti alimentari, con riguardo al trasporto via mare dello zucchero greggio; Dir. 98/51/CE, in materia di riconoscimento e registrazione di taluni stabilimenti e intermediari operanti nel settore dell'alimentazione degli animali; Dir. 98/60/CE, in materia di sostanze e prodotti indesiderabili nell'alimentazione degli animali. Il successivo comma 3 dello stesso art. 4 - adottando una formulazione che non si rinviene in precedenti leggi comunitarie - contiene una sorta di (solo apparente) compensazione procedurale all'illegittima invasione sostanziale delle competenze regionali perpetrata con il comma 1, nella parte in cui consente alle regioni e province autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di loro competenza, di inviare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, entro trenta giorni dalla entrata in vigore della legge comunitaria, proposte in merito al contenuto dei provvedimenti da emanare ai sensi del comma 1. Le sopra citate direttive disciplinano (sovente collocandosi a cavallo tra l'una e l'altra) materie come l'agricoltura e la zootecnia (e' questo il caso piu' frequente); la pesca anche nelle acque interne (e' il caso della Dir. 97/61/CE sulla produzione dei molluschi bivalvi); la sanita' (e' il caso della Dir. 97/41/CE, e di tutte le altre che riguardano l'uso di prodotti che possono incidere sulla salute umana). Si tratta di materie che rientrano tra quelle in cui alle regioni e' direttamente conferita dalla Costituzione (art. 117) una competenza legislativa (con connessa competenza amministrativa) di tipo concorrente, e che sono state oggetto di trasferimento di risorse e funzioni statali sin dal d.P.R. n. 616 del 1977. La cosa e' tanto evidente, che implicitamente lo riconosce anche il censurato art. 4, coninia 3, che non a caso prevede un sia pur parziale e illegittimamente insufficiente coinvolgimento delle Regioni. In tali materie le attribuzioni regionali possono subire una compressione, in forza dell'esigenza di attuare il diritto comunitario, solo nel rispetto di alcune precise condizioni di carattere sostanziale e procedurale, che, nella specie, non ricorrono. 2. - Si deve invero muovere dalla constatazione che ci troviamo, qui, in presenza di una legge che prevede ipotesi di attuazione della normativa comunitaria che si distinguono, almeno in parte, da quelle previste dalla legge n. 86 del 1989. Come e' noto, tale legge prevede (art. 3) che "il periodico adeguamento dell'ordinamento nazionale all'ordinamento comunitario" venga assicurato o direttamente dalla legge comunitaria, o tramite decreti legislativi delegati, ovvero tramite appositi regolamenti governativi, essi pure autorizzati dalla legge comunitaria. E' fatta salva, peraltro, la possibilita' di un'attuazione "in via amministrativa" (art. 4, commi 7 e 8), ma solo "per materie particolari". La legge n. 25 del 1999 prevede, conformemente al modello della legge n. 86 del 1989, l'attuazione diretta; l'attuazione tramite decreti legislativi delegati; l'attuazione tramite regolamenti governativi, e l'attuazione amministrativa. Si riscontrano pero' tre peculiarita': che i regolamenti governativi sono (art. 3, comma 1) regolamenti "delegificanti", in quanto da adottarsi ai sensi dell'art. 17, comma 2 della legge n. 400 del 1988; che tra l'attuazione con regolamento governativo e quella amministrativa si inserisce un'ipotesi intermedia, costituita dall'attuazione tramite regolamento ministeriale; che l'attuazione amministrativa e' prevista per materie tutt'altro che "particolari" (come agricoltura, pesca, sanita'). L'attuazione tramite regolamenti delegificanti non pone, qui, problemi diversi da quelli comuni, atteso che (come sempre) tali regolamenti debbono rispettare i principi e criteri fissati dalla stessa legge autorizzante. In particolare, per quanto riguarda la posizione costituzionale della ricorrente, e' da sottolineare che essi sono tenuti a rispettare quanto disposto dall'art. 2, lett. h) a tenor del quale "Nelle materie di competenza delle regioni a statuto ordinario e speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano saranno osservati l'art. 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86, e l'art. 6, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616. Saranno inoltre osservate le competenze normative e amministrative conferite alle regioni con la legge 15 marzo 1997, n. 59, ed i relativi decreti legislativi attuativi, nonche' gli ambiti di autonomia delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, nel rispetto del principio di sussidiarieta'". La tutela dell'autonomia regionale appare, qui, formalmente assicurata, e solo l'eventuale inosservanza dei principi ora riportati da parte del Governo potrebbe dar luogo, in futuro, a doglianze da parte della ricorrente. Del resto, tale salvaguardia delle autonomie regionali aveva gia' trovato espressione (peraltro solo parzialmente coincidente) nell'art. 2 della legge n. 52 del 1996, laddove si prevedeva che "Nelle materie di competenza delle regioni a statuto ordinario e speciale e delle prvince autonome di Trento e Bolzano saranno osservati per l'attuazione del diritto comunitario l'articolo 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86, e l'art. 6, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616". Ben diversa la situazione per quanto concerne l'attuazione amministrativa e quella tramite regolamento ministeriale. La legge n. 25 del 1999, infatti, dopo aver inserito all'art. 2, tra i principi e criteri direttivi cui i decreti legislativi delegati debbono uniformarsi, l'obbligo di osservare il riparto costituzionale delle competenze e gli ambiti di autonomia legislativa e amministrativa riconosciuti alle regioni nelle materie di loro competenza, ha previsto che lo stesso obbligo gravi solo sui regolamenti governativi delegificanti (art. 3), e non sui regolamenti ministeriali o sugli atti amministrativi puntuali. A parte l'applicabilita' anche qui, del brocardo ubi lex voluit dixit..., non si puo' pensare che l'omessa indicazione dell'obbligo a proposito dei regolamenti ministeriali e degli atti amministrativi-attuativi sia casuale o comunque scusabile: il tenore letterale della disposizione censurata e' inequivoco, e tale da escludere che, in sede di attuazione amministrativa o ministeriale, sussista uno specifico vincolo al rispetto delle competenze regionali. Di qui, l'evidente illegittimita' dell'art. 4, nella parte in cui, a differenza dell'art. 3, mentre demanda a regolamenti ministeriali o atti amministrativi la trasposizione nell'ordinamento interno di un cospicuo pacchetto di direttive in materie di pacifica competenza regionale, non contiene alcuna enunciazione che tenga conto o mostri di tenere conto dell'incidenza che tale interposizione dello Stato finisce per avere su di una rilevante sfera delle attribuzioni regionali. Per soprammercato, come gia' accennato, l'attuazione amministrativa e ministeriale viene prevista, al contrario di quanto stabilito dal "modello" di cui alla legge n. 86 del 1989, per materie tutt'altro che "particolari", e quindi senza alcuna reale valutazione dell'effettiva necessita' che dette materie siano disciplinate con regolamento ministeriale, ovvero siano oggetto di attuazione a mezzo di atti amministrativi puntuali. Tanto, in violazione del principio di coerenza e ragionevolezza delle scelte legislative - di cui all'art. 3 della Costituzione - e con evidente pregiudizio delle attribuzioni regionali di cui agli artt. 5, 117 e 118, per la mancanza delle garanzie procedurali che - come appresso si dimostrera' - sono assicurate dagli altri strumenti di attuazione del diritto comunitario previsti dalla legge n. 86 del 1989. 3. - A eliminare i dubbi sulla legittimita' della disposizione censurata non puo' valere la previsione di cui al comma 3, laddove si esperisce un tentativo solo apparente, di mera facciata, di coinvolgere le regioni nel procedimento di attuazione regolamentare delle direttive di cui all'allegato D. Si deve infatti considerare, anzitutto, che il termine per la presentazione delle "proposte" e' di soli trenta giorni: il numero e la complessita' delle direttive da attuare rende addirittura derisoria tale previsione, per l'evidente impossibilita' di una seria riflessione, in tempi tanto ristretti, sul da farsi. In secondo luogo, la legge qualifica il contributo regionale come mera "proposta", e non impone all'Amministrazione statale nessun criterio per il recepimento delle varie proposte e per il raffronto tra di loro, lasciandola totalmente libera di adottare le determinazioni che vuole, e riducendo la partecipazione regionale ad una semplice lustra. Evidentemente il legislatore, pur riconoscendo espressamente che le direttive da attuare incidono in materie in cui le regioni godono di potesta' legislativa, invece di imporre un obbligo all'osservanza del riparto costituzionale delle competenze nell'emanazione dei decreti ministeriali di attuazione, al pari di quello di cui all'art. 2, comma 1, lett. h), e all'art. 3, con l'art. 4 ha preferito optare per un meccanismo (inedito) che relega le regioni in un ruolo eventuale e meramente propositivo rispetto al contenuto di provvedimenti che resta in capo ai Ministeri adottare. Viene cosi' ad essere palesemente intaccato un principio fondamentale dell'ordinamento costituzionale - quello di autonomia sancito nell'art. 5 della Costituzione - che non puo' certo essere totalmente disatteso in forza della pur importante esigenza di dare attuazione a norme comunitarie. "E' principio indubitabile" - ha affermato da codesta ecc.ma Corte nella. sent. n. 126 del 1996 - "che la partecipazione dell'Italia al processo di integrazione europea e agli obblighi che ne derivano deve coordinarsi con la propria struttura costituzionale fondamentale, della quale fa parte integrante la struttura regionale dello Stato... L'attuazione negli Stati membri delle norme comunitarie deve tener conto della struttura (accentrata, decentrata, federale) di ciascuno di essi, cosicche' l'Italia e' abilitata, oltre che tenuta dal suo stesso diritto costituzionale, a rispettare il suo fondamentale impianto regionale". Ne deriva necessariamente che, in tutti i casi in cui l'attuazione di norme comunitarie involge materie di competenza regionale, e' alle regioni che spetta il diritto, oltre che l'obbligo, di recepire il diritto comunitario nel proprio ordinamento interno, sia pure nel rispetto dei limiti che la Costituzione pone all'esercizio delle funzioni legislative ed amministrative regionali e nel rispetto degli interessi unitari di cui lo Stato e' e rimane necessariamente portatore. Sulla scorta di tali premesse, dunque, negli ambiti di competenza regionale l'intervento statale in attuazione di norme comunitarie dovrebbe essere consentito solo - come affermato in passato anche da codesta ecc.ma Corte (cfr. sent. n. 304 del 1987) - se residuale e comunque sorretto da idonei presupposti giustificativi e costituzionali, quali il soddisfacimento di esigenze unitarie, l'adempimento di obblighi nell'ipotesi di comportamenti omissivi delle regioni, ovvero eccezionali motivi di urgenza. Tale principio, che ha trovato successivamente conferma anche in altre decisioni di codesta ecc.ma Corte (cfr. sentt. nn. 433/1987 e 448/1990), esprime indubbiamente un'importante garanzia dell'autonomia regionale, la quale puo' trovare giustificata comprensione solo in nome di fondamentali esigenze di unitarieta' nel recepimento della normativa comunitaria. 4. - La legge impugnata, comunque, e' affetta, nella parte di che trattasi, da un'ancor piu' radicale illegittimita'. Si deve muovere dalla sistemazione della materia che e' stata data dalla sent. n. 126 del 1996. Questa pronuncia ha precisato che gli strumenti per evitare la responsabilita' da inattuazione nei confronti degli organi comunitari "consistono non in avocazioni di competenze a favore dello Stato, ma in interventi repressivi o sostitutivi e suppletivi - questi ultimi anche in via preventiva, ma cedevoli di fronte all'attivazione dei poteri regionali e provinciali normalmente competenti - rispetto a violazioni o carenze nell'attuazione o nell'esecuzione delle norme comunitarie da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano". L'accenno alla possibilita' di interventi statali preventivi e cedevoli non deve indurre a credere che tali interventi siano possibili senza limiti o condizioni. Come, invero, si precisa al punto 6. della parte motiva, ad finem, "alle eventuali esigenze di garanzia di un quadro nazionale... potra' farsi fronte attraverso l'esercizio dei poteri piu' sopra indicati (punto 5, lett. b)". Se, ora, si va ad esaminare quanto si scriveva al punto 5, lett. b), si rileva che i poteri di cui lo Stato e' titolare, per assicurare la garanzia del quadro nazionale, sono: a) poteri "in via d'urgenza"; b) poteri "di legislazione di principio e di dettaglio suppletiva e cedevole"; c) poteri "di indirizzo e coordinamento riconosciuti dall'art. 9, legge 9 marzo 1989, n. 86". Solo tali poteri sono stati in tal sede indicati, e cio' significa che solo tali poteri sono stati richiamati dalla parte finale del punto 6. della motivazione di quella pronuncia. Questo elenco di poteri costituisce un numerus clausus, e lo Stato non puo' in alcun modo avvalersi di poteri diversi. Il perche' e' presto detto. Nel caso dell'intervento della legislazione e degli atti di indirizzo e coordinamento vi sono tutte le garanzie procedurali che l'ecc.ma Corte ha, nella sua corposa giurisprudenza, ritenuto indefettibili, e solo nel caso dell'urgenza vi sono esigenze che possono giustificare alcune deroghe. Dove, pero', non vi e' urgenza, e' essenziale che le indicate garanzie procedurali siano rispettate. E' per questo che la sent. n. 126 del 1996 non ha menzionato il regolamento ministeriale o l'atto amministrativo come strumenti di attuazione "preventiva" ancorche' cedevole: si tratta di atti nei quali non sono presenti quelle garanzie, e che quindi non sono paragonabili alle leggi (o agli atti con forza di legge) ne' agli atti di indirizzo e coordinamento (ne', ovviamente, ai regolamenti delegificanti, che danno garanzie alle regioni in quanto per un verso sono "governativi" e per l'altro sono tenuti a rispettare i principi fissati dalla legge autorizzante). Conseguentemente, l'attuazione in via amministrativa della normativa comunitaria, gia' prevista dalla legge n. 86 del 1986, non puo' intervenire preventivamente, in assenza di qualunque inerzia regionale comprovata da apposito procedimento di messa in mora, nelle materie di competenza regionale, in violazione degli artt. 5 e 118 della Costituzione. Per quanto riguarda l'attuazione preventiva con regolamento ministeriale, poi, essa e' ancora piu' illegittima e insidiosa. Per la sua natura normativa, infatti, il regolamento ministeriale e' idoneo a interferire - lesivamente - con la potesta' legislativa regionale garantita dagli artt. 5 e 117 della Costituzione, compromettendo la posizione costituzionale delle regioni. La sua "cedevolezza" (per giunta non espressamente stabilita dalla legge impugnata) non elimina ovviamente il vizio, poiche' - come si e' dimostrato - lo Stato puo' intervenire preventivamente solo nel rispetto di ben precise garanzie procedurali. A ben vedere, con la sent. n. 126 del 1996, l'ecc.ma Corte ha elaborato per l'attuazione diretta delle norme comunitarie da parte dello Stato principi coerenti con quelli da applicarsi alla funzione di indirizzo e coordinamento. Tale funzione, ai sensi dell'art. 9, comma 6, legge n. 86 del 1989, puo' trovare espressione in una legge o atto avente forza di legge, ovvero, sulla base di una legge comunitaria, in un regolamento adottato ai sensi dell'art. 17, comma 2, legge n. 400 del 1988, ovvero ancora in una deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie, d'intesa con i Ministri competenti, ma non certo in regolamenti ministeriali o atti amministrativi come quelli di cui all'art. 4, legge n. 25 del 1999. Quando si opera in materie di competenza regionale, tanto nell'attuazione diretta, quanto nell'indirizzo e coordinamento, sono il Parlamento o il Governo nella sua espressione di vertice che possono legittimamente intervenire, non il singolo ministro. 5. - I vizi sopra evidenziati appaiono ancor piu' gravi, se solo si riflette su cio' che il ruolo delle regioni nel processo di attuazione comunitaria e' stato oggi riconosciuto dallo stesso legislatore statale con ben maggiore chiarezza che in passato. Come stabilisce l'art. 9, commi 2, 3 e 4 della legge n. 86 del 1989, nel testo modificata dalla legge n. 128 del 1998, le regioni nelle materie di competenza concorrente possono dare attuazione immediata alle direttive comunitarie con l'unico limite rappresentato dall'obbligo di rispettare le indicazioni derivanti dalla legge comunitaria o da altra legge dello Stato circa le disposizioni di principio cui non e' possibile derogare e che prevalgono anche sulle contrarie disposizioni legislative gia' emanate dalle regioni. Solo in mancanza degli atti normativi della regione trovano applicazione, anche nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione, le disposizioni dettate per l'adempimento degli obblighi comunitari dalla legge dello Stato o da eventuale regolamento governativo autorizzato. Cio' significa che lo stesso legislatore statale, in sede di definizione delle regole generali dell'attuazione del diritto comunitario, ha espressamente negato la possibilita' di un intervento amministrativo (o regolamentare non governativo) in materie di competenza regionale, ancorche' manchino leggi regionali attuative. Di qui l'irragionevolezza e l'incoerenza della normativa censurata, che risulta pertanto violativa dell'art. 3 della Costituzione, in riferimento (in ragione della conseguente lesione delle prerogative regionali) agli artt. 5, 117 e 118. Violato, peraltro, risulta (sempre in riferimento agli artt. 5, 117 e 118) anche l'art. 11 della Costituzione, atteso che esso permette allo Stato di consentire limitazioni di sovranita', ma nel rispetto dei principi fondamentali della Costituzione, tra i quali vanno annoverati quelli posti a presidio delle autonomie regionali.